Cinque paesi hanno imposto sanzioni contro ministri israeliani per incitamento alla violenza

Chas Pravdy - 11 Giugno 2025 01:15

Sul fronte di un inasprimento del conflitto nella regione e dell'escalation delle tensioni, diversi stati leader nel mondo hanno fatto un passo deciso: hanno introdotto sanzioni contro alti funzionari israeliani, accusandoli di incitamento alla violenza e di violazioni dei diritti umani. In particolare, nella lista sono entrati il Regno Unito, il Canada, la Norvegia, la Nuova Zelanda e l’Australia, che hanno adottato una decisione ufficiale di vietare l’ingresso e congelare i patrimoni di due figure chiave — il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Sifter. Dettagli della decisione e reazioni ufficiali Secondo fonti di agenzie di stampa, tra cui Reuters, le sanzioni includono non solo il divieto di ingresso nei Paesi del Consiglio d’Europa, ma anche il congelamento di eventuali beni finanziari e conti aperti in questi paesi. Circoli diplomatici internazionali sottolineano che queste misure sono un segnale dell’ingiunzione della comunità internazionale di condannare le azioni dei funzionari israeliani e evidenziano che è inaccettabile emettere discorsi incitanti o aggressivi. In una dichiarazione congiunta, i ministri degli Esteri di tali paesi affermano che "Itamar Ben-Gvir e Bezalel Sifter hanno incitato alla violenza estremista e a gravi violazioni dei diritti della popolazione palestinese". Nel documento si evidenzia che tali azioni sono categoricamente inaccettabili e devono essere perseguite dalle istituzioni internazionali competenti. La dichiarazione sottolinea che i cinque paesi sanzionatori "hanno sempre sostenuto e sosterranno i diritti umani" e insiste sulla necessità di un approccio umanitario, garantendo l'accesso agli aiuti per i civili, fermando ogni forma di migrazione illegale dei palestinesi da Gaza e imponendo un moratorio su qualsiasi riduzione del territorio del settore. Reazioni di Israele e dinamiche internazionali In risposta a queste decisioni, il ministro israeliano degli Esteri Gabi Ashkenazi ha definito le sanzioni "offensive" e ha promesso che il governo esaminerà tutte le possibili risposte. Ha aggiunto che Israele terrà una riunione speciale all’inizio della prossima settimana per definire la strategia futura in risposta alle decisioni dei partner internazionali. Anche il ministro degli Esteri si è mostrato indignato dal fatto che paesi che solitamente supportano il dialogo diplomatico ora percepiscono le misure israeliane come un tentativo di negarne la legittimità. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a sua volta, ha accusato i paesi che hanno imposto sanzioni di voler aiutare il gruppo radicale palestinese Hamas e di stare “dalla parte sbagliata della storia”. Ha sottolineato che ogni influenza esterna sulla politica israeliana in questo momento difficile è inaccettabile e mina la sicurezza del paese. Reazione statunitense Gli Stati Uniti, tradizionalmente uno dei principali alleati di Israele, hanno condannato fermamente la decisione dei cinque paesi e hanno fatto appello alla sua revoca. Rappresentanti ufficiali, tra cui la portavoce del Dipartimento di Stato, Tami Bruce, hanno dichiarato che "le sanzioni imposte contro i ministri israeliani non contribuiscono al raggiungimento di obiettivi di sicurezza e stabilità nella regione". Nel loro comunicato, hanno inoltre sottolineato che gli USA invitano a sostenere il dialogo e le iniziative umanitarie, inclusa l’efficace azione dell'inviato di Washington e delle organizzazioni umanitarie a Gaza, per ridurre le sofferenze umane e prevenire l’escalation della violenza. Inoltre, Marco Rubio, segretario di Stato USA, ha scritto sul suo Twitter che "le sanzioni non favoriscono gli sforzi per il cessate il fuoco, il ritorno degli ostaggi e la riduzione del conflitto". Egli ha sottolineato che Hamas è un’organizzazione terroristica che ha commesso terribili crimini, tiene ostaggi persone innocenti e si oppone attivamente alle iniziative di pace. Le autorità statunitensi chiedono agli alleati della comunità internazionale di riconoscere questa realtà, di mantenere l’unità nella lotta contro il terrorismo e di sostenere gli sforzi diplomatici. Contesto storico e ondata di eventi internazionali La politica estera di Israele è attualmente sotto pressione dopo un pesante attacco missilistico e un’ampia operazione militare a Gaza, iniziata nell’ottobre 2023. In quel periodo, le forze israeliane hanno risposto all’attacco di Hamas, che ha causato il decesso di oltre 1.200 persone, principalmente civili, e ha rapito 251 individui — un episodio che ha scatenato una vasta campagna militare. Gli scontri hanno portato alla distruzione di grandi zone di Gaza, con abitazioni e infrastrutture devastate. Secondo dati ufficiali, più di 54 mila palestinesi sono stati uccisi o feriti a causa delle intense operazioni militari e dei raid aerei. La comunità internazionale, già a maggio, ha posto l’attenzione sulla crisi umanitaria a Gaza, chiedendo al governo israeliano di porre fine al blocco che sta causando fame e grandi sofferenze tra i civili. Richieste di sostegno umanitario e potenziali sanzioni In questo contesto, vari paesi europei e alleati hanno espresso preoccupazione riguardo alla situazione e hanno invitato il governo israeliano a riconsiderare le proprie politiche. A maggio, i leader di Regno Unito, Francia, Islanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Slovenia e Spagna hanno inviato una lettera al premier Benjamin Netanyahu, chiedendo di fermare il blocco e cessare le operazioni militari. Hanno minacciato di adottare "misure concrete" qualora la situazione umanitaria a Gaza non migliorasse e le operazioni militari non si interrompessero. In questo modo, la comunità internazionale mostra unità nel condannare la violenza e nel chiedere una risoluzione pacifica del conflitto, rispettosa dei diritti umani dei civili. Tuttavia, la serie di sanzioni e dichiarazioni diplomatiche conferma ancora una volta la complessità e la durezza dello scontro per la stabilità in questa regione geopolitica, lasciando molte domande sul futuro e sui possibili vie di uscita dalla crisi.

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