L’ex presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha sorpreso il panorama politico e criminale mondiale, ottenendo la vittoria alle elezioni per sindaco di Davao, nonostante attualmente sia detenuto in Olanda con gravi imputazioni per crimini contro l’umanità

Chas Pravdy - 18 Maggio 2025 05:48

Questo è uno dei casi più enigmatici e contemporaneamente preoccupanti di politica moderna, evidenziando la complessità e le contraddizioni nei rapporti tra giustizia e politica nelle Filippine indipendenti. Secondo quanto riportato dall’agenzia CNN, i procuratori internazionali della Corte penale internazionale (CPI) accusano il patriarca di 80 anni di un lignaggio politico di aver commesso esecuzioni extragiudiziali di massa, che sono state il focus centrale della sua campagna antidroga tra il 2016 e il 2019. Secondo l’ipotesi ufficiale dell’indagine, almeno 6.000 persone sarebbero decedute in questa campagna, anche se le dichiarazioni ufficiali di Duterte hanno negato qualsiasi violazione dei diritti umani, sostenendo che le sue azioni erano a tutela della sicurezza nazionale. Durante i suoi discorsi pubblici, Duterte ha frequentemente esaltato la sua politica dura contro i trafficanti di droga e la criminalità, anche se queste azioni sono ora messe in dubbio dalla comunità internazionale e dalle autorità giudiziarie. È interessante notare che, nonostante tutte queste pesanti accuse e il fatto che la sua detenzione in isolamento a La Haya renda praticamente impossibile il suo esercizio attivo delle funzioni, Duterte ha vinto le elezioni per sindaco di Davao. Questo viene interpretato come un paradosso e come una testimonianza della radicata influenza politica della sua dinastia nel territorio. Gli elettori della città, che Duterte ha guidato per oltre 20 anni, hanno nuovamente affidato questa carica a uno dei suoi figli – Sebastian Duterte, uno dei cinque figli del leader, il che indica una forte stabilità politica familiare, anche di fronte a un processo legale internazionale contro di lui. Fonti affermano che il risultato elettorale non dovrebbe sorprendere: la principale ragione è la profonda dipendenza politica della regione dalla famiglia Duterte, e la tendenza delle elezioni locali a sostenere le dinastie politiche e la loro influenza, che garantiscono stabilità nel governo cittadino e regionale. Tuttavia, la questione legale relativa ai risultati delle elezioni crea un complesso caso giuridico. Secondo la legislazione filippina vigente, un sindaco eletto che si trovi in carcere all’estero o non possa giurare personalmente a causa di restrizioni internazionali non può esercitare ufficialmente le funzioni. Gli esperti deducono che il vice-sindaco o i candidati che abbiano ottenuto il secondo risultato elettorale potrebbero assumere le funzioni di sindaco, ma ciò apre ulteriori questioni legali. L’avvocato e presidente dell’organizzazione per i diritti umani CenterLaw, Joel Butuyan, osserva che è possibile che Duterte possa essere investito ufficialmente del ruolo tramite voto per corrispondenza o videoconferenza, come hanno recentemente riferito alcuni esperti legali. Tuttavia, il punto chiave è che tale procedura dovrebbe essere approvata da un tribunale a La Haya, e ciò probabilmente non avverrà in tempi brevi. Secondo la legge filippina, se Duterte non potesse giurare di persona, il vice-sindaco o il secondo classificato congederebbe automaticamente le funzioni di sindaco, creando ulteriori complicazioni giuridiche e potenziali conflitti. La prossima udienza sul caso Duterte è prevista per settembre e, anche nei calcoli più ottimistici, la sua partecipazione sarà complessa. I tribunali di La Haya hanno espresso disponibilità a valutare l’eventualità di far giurare l’imputato e stabilire le procedure riguardo alle sue funzioni politiche. Gli esperti legali sottolineano che questo caso potrebbe costituire un precedente per la futura convivenza tra giurisdizione internazionale e autorità nazionali, quando gli imputati sono alti funzionari. È noto che la Corte penale internazionale è stata creata nel 2002 in seguito alle turbolenze in Jugoslavia e al genocidio in Ruanda, come garante della giustizia internazionale in casi di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio. La corte ha giurisdizione solo in assenza o riluttanza degli organismi nazionali a condurre indagini e perseguire i colpevoli. Tuttavia, nel caso delle Filippine, la situazione si è complicata dopo che il paese ha lasciato lo Statuto di Roma nel 2019, un atto che, secondo i diritti umani, è stato un tentativo di sfuggire alla responsabilità per i crimini commessi durante il governo di Duterte. È importante sottolineare che nel 2023 la CPI ha ripreso le indagini sulle violazioni di quel periodo e ha richiesto informazioni su eventuali inadempienze del diritto internazionale nelle attività dell’ex leader. In precedenza, nell marzo dello stesso anno, Duterte è stato arrestato all’aeroporto internazionale di Manila su mandato di un tribunale, segnando un ulteriore capitolo di questo complesso teatrino legale e politico. In conclusione, questa vicenda ricorda le difficoltà delle realtà politiche moderne, dove non solo interessi interni ma anche standard di giustizia globale si intrecciano. Mostra che neppure i titoli politici più alti sono immuni dal diritto internazionale e che i meccanismi legali possono diventare strumenti di responsabilizzazione anche dei più potenti. Contemporaneamente, evidenzia la necessità di perfezionare ulteriormente le istituzioni internazionali per garantire giustizia e stato di diritto nel mondo, indipendentemente dallo status o dal potere politico degli individui.

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